Qualche giorno fa una coppia di genitori preoccupati del comportamento del loro bimbo di 22 mesi si è presentata nel mio studio con l’intenzione di comprendere perché il loro bambino tanto intelligente, che al nido fa cose che gli altri ancora non fanno, sia tanto nervoso, intrattabile e difficile da gestire sia a casa sia a scuola (il problema era segnalato anche dalle insegnanti).

Dopo una prima indagine anamnestica scopro tante “particolarità” della vita quotidiana di questo bambino che ha una fitta agenda quotidiana settimanale: undici ore fuori casa ogni giorno, piscina due volte a settimana, lezione di lingua straniera il sabato mattina e la sera mai a letto prima delle 23 se non oltre.

“E’ tanto intelligente che fa il puzzle sul tablet posizionando due tessere alla volta contemporaneamente…”

Da qui è partito il desiderio di compiere una ricerca sui bambini e l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali.

I nativi digitali, ovvero i bambini che utilizzano i tablet, personal computer, smartphone e i videogiochi, sono ormai il 38% della popolazione infantile al di sotto degli otto anni d’età, con una percentuale altissima di bimbi sotto i due anni.

Noi adulti che guardiamo con orgoglio i nostri bambini muoversi con disinvoltura nella tecnologia touch siamo consapevoli di ciò di cui veramente un bambino piccolo ha bisogno?

Bimbi di pochi mesi già incollati al piccolo schermo, avvolti da un mondo d’illusione senza ancora conoscere il mondo vero sono destinati ad un futuro patologico, soprattutto se l’esposizione si prolunga per varie ore al giorno.

L’ammaliamento è così fortemente pervasivo che anche noi adulti, cresciuti in epoca analogica e non digitale siamo costantemente con i nostri bei telefonini tuttofare in mano in ogni momento della giornata e non sempre per motivi di lavoro…basta per esempio osservare quanti sono occupati a giocare o a guardare facebook sulla metro senza mai alzare lo sguardo dallo schermo per interessarsi a ciò che avviene intorno.

Il bel libro di Manfred Spitzer intitolato “Demenza Digitale; come le nuove tecnologie ci rendono stupidi “ dimostra senza ombra di dubbio che la manipolazione di oggetti concreti come anche il fare esperienze spaziali nel mondo esterno mettendosi in movimento con tutto il corpo, soppesando, riconoscendo oggetti con forme e caratteristiche di solidità, staticità e dinamicità crea di continuo nuove sinapsi e percorsi neuronali , solidifica e amplifica i preesistenti, e incrementa le sue capacità di apprendimento senza perdere quelle acquisite.

In caso contrario, come quello dato dall’esposizione in età evolutiva e senza limiti di tempo alle tecnologie digitali, si ha un declino mentale progressivo con costante caduta delle capacità cognitive della memoria e dell’orientamento spazio temporale, analogo a quello che si verifica nelle persone anziane colpite da Alzheimer.

Oggi le case che producono giochi per bambini si concentrano nella creazione di giochi interattivi con fini educativi e di intrattenimento (endutainment). Sembrerebbe una cosa giusta e sana se non fosse che i giochi sono proposti già dall’età di nove mesi e poi via via in maniera progressiva fino all’età adulta. Contengono giochi di memoria, disegni da colorare con le dita o con pennelli e matite virtuali, giochi per cucinare con tanti ingredienti, virtuali anch’essi, come i fornelli che assicurano la totale incolumità dei nostri bambini!

Ma se questi sono i giochi pensati, studiati e venduti per una certa fascia d’età c’è ovunque il cellulare per far stare buoni i nostri bambini, in aereo in treno o durante la visita dal dottore. E al bambino vengono dati in mano a qualsiasi età.

Se poi analizziamo gli stereotipi di genere contenuti nel format del gioco differenziato per bambini maschi e per femmine già delineati dal colore azzurro e rosa, restiamo veramente allibiti; alle ragazze giochi di cucina arredamento, moda, neonati, baby sitting e accudimento di cuccioli animali, per i maschi rugby e guerra.

Nei videogiochi poi le donne sono sempre iper-sessualizzate o malvage se sono protagoniste, i maschi frequentemente militarizzati sempre estremamente virili, competitivi e brutali.

Un capitolo a parte riguarda l’uso degli smartphone e di applicazioni quali internet, wathsapp e facebook nei preadolescenti e la caduta in fenomeni di bullismo, circolazioni di immagini compromettenti a sfondo sessuale o violente, dipendenza nel gioco d’azzardo ecc.

Da sempre viene detto, per proteggere i bambini, di non lasciarli soli con questi strumenti, di regolarne il tempo di utilizzo e di comprendere come condividere e partecipare attivamente alle loro attività digitali. Sono stati scritti decaloghi limitativi per cercare di proteggere le capacità di attenzione, la socialità e la possibilità di esprimere le proprie emozioni non solo attraverso gli emoticon per le nuove generazioni cosiddette digitali. Ma a mio avviso non si può affrontare questo capitolo così importante nell’ambito dello sviluppo educativo solo con delle regole. E’ necessario soffermarsi sui processi evolutivi che vengono implicati nell’uso delle tecnologie, in modo da avere degli strumenti di riflessione personale che consentano a ogni genitore di individualizzare la modalità di intervento sul bambino.

Per fare ciò è necessario ricordare che il bambino piccolo ha bisogno di fare esperienza del mondo attraverso la percezione di sé legata al corpo. Tradotto in parole semplici significa che deve usare tutti i suoi sensi per esplorare il mondo, la natura, la realtà che lo circonda. Significa che ogni cosa va soppesata, gustata, toccata, annusata, spostata, suonata, sbattuta, tirata e quanto altro ancora. Ma prima ancora significa vedere un adulto che sposta si muove, gusta, annusa ecc.

Il bambino piccolo è un imitatore selettivo: egli ha nella figura dell’adulto di riferimento l’intermediario che lo porta a fare esperienza del mondo fin nelle sue più celate intimità. Il bambino piccolo è in grado di apprendere le emozioni dell’adulto anche quando cerchiamo di nascondergliele. Possiamo dire che il trasudato delle nostre emozioni gli offre linee guida per l’apprendimento delle stesse e che attraverso l’empatia che si forma nella relazione, impara a poco a poco a riconoscere i propri sentimenti così come quelli altrui.

Tutto questo non può essere dato da un tablet.

Al contrario l’adulto rischia di scomparire quasi dalla vista del bambino, che chino sullo schermo non lo guarda, affascinato da colori e movimenti che nulla gli offrono come punto di partenza di una sana imitazione.

Ha bisogno di usare le sue mani per intero e non solo un ditino, per fare esperienze tattili di tutti i generi, liscio, ruvido, morbido, duro, ma anche per riconoscere forme e consistenze diverse.

Le mani, diceva Maria Montessori sono i prolungamenti dei loro pensieri, sono gli strumenti dell’intelligenza umana.

Il bambino deve smontare e provare a rimontare e tutto ciò non si può fare su uno schermo anche nei migliori giochi cosiddetti creativi.

Anche i giochi che possono sembrare più innocui come il memory sono isolanti: si possono fare anche da soli con l’obiettivo di vincere, fare punti e sempre di più generano una competitività sfrenata, non aiutano il bambino a percepire quando un gioco è finito, come accade normalmente in un gioco di relazione con un altro essere umano, e le musiche che accompagnano la vittoria e la sconfitta possono non aiutare il bambino a capire quando è stanco e dovrebbe smettere.

Anche la millantata creatività e le capacità cognitive che tali giochi svilupperebbero come possono svilupparsi da mani che nulla imparano a fare e ripetendo schemi di gioco già inseriti dal programmatore secondo percorsi prestabiliti che il bambino deve solo ripetere?

La creatività non nasce dal pensiero: l’immaginazione creativa del bambino si appoggia invece alle capacità corporee e manuali, ai sentimenti di amore e di stupore verso il bello il buono e il vero che il bambino prova nel profondo del suo essere e che nascono dall’osservazione e dall’imitazione del mondo intorno a sé. La creatività nasce nella notte dei tempi ma porta in sé le forze di sviluppo per l’evoluzione del futuro e il bambino tanto più è piccolo tanto più la porta dentro di sé in maniera germinante.

Invece la razionalità, l’intellettualizzazione, il pensiero lineare sono acquisizioni relativamente recenti per l’umanità e analogamente al computer si basano su un processo di scelta che in quest’ultimo è stato ottimizzato: il sistema binario è in grado di scegliere, molto velocemente, attraverso algoritmi e sistemi inseriti dal programmatore, le istruzioni precedentemente codificate.

Guarda perciò sempre al passato, al già inserito, al già dato.

Anche il cervello umano si muove in maniera molto veloce tra innumerevoli ricordi ed è altrettanto veloce; il problema è che noi non siamo altrettanto in grado di gestirli a causa della modalità dei processi cognitivi, ma anche per l’interferenza spesso fondamentale dei processi emotivi, affettivi, empatici o antipatici che il personal computer non conosce perché non ha un’anima!

Ma questo è anche quello su cui poggia la nostra unicità di individui capaci di agganciarsi al futuro, al mai pensato, agito o sentito prima. Ecco perché l’uomo non può e non deve essere sostituito dalla macchina, e non può acquisire gli elementi fondamentali della sua umanità a partire dalle macchine.

Inoltre tutta la tecnologia, oltre a limitare il movimento del bambino, la sua esperienza di processi di equilibrio e di movimento, di vitalità e benessere propriocettivo esperito attraverso questi e altri sensi corporei sia superficiali sia profondi con la susseguente coordinazione plurisensoriale, privilegia il primato del senso della vista ed in generale delle facoltà intellettuali legate alla testa.

Diventa vero solo ciò che vedo e gli altri sensi servono a poco. Tutto questo porta a imboccare un facile percorso fatto di giudizi frettolosi e acritici e a un pensiero influenzabile e suggestionabile.

Attraverso il gioco spontaneo, creativo e sociale invece il bambino dovrebbe apprendere dalle esperienze che si tessono nella relazione: il valore della collaborazione, della solidarietà e non solo della competizione; il valore dell’errore come fonte inesauribile di capacità di apprendimento, di trasformazione delle situazioni, di creatività originaria. Il valore del dubbio, anche su se stessi, come capacità di non arrestare mai la propria ricerca: se tutto è solo giusto o sbagliato non esiste il dubbio e allora si diventa intolleranti, sia verso gli altri sia verso se stessi, giudicandosi incapaci se non si è nel giusto, o al contrario esaltandosi quando conformi a ciò che ci rende adeguati alle aspettative, anche del gioco.

Da queste prime considerazioni si evince, a mio avviso, come Il bambino nel suo processo di sviluppo necessita di un rapporto diretto con la realtà che lo circonda, che gli consenta di fare esperienze concrete, vere, reali: ha bisogno di relazioni umane e sociali, di attenzione e di calore che gli consentano nella prima età della vita di sviluppare la fiducia nel proprio corpo attraverso l’utilizzo delle attività sensoriali di cui è dotato.

Ha bisogno di conoscere emozioni, sentimenti e sensazioni le più varie e ricche, vivendole in prima persona e anche empaticamente attraverso la relazione umana come anche attraverso il gioco e le attività imitative e riproduttive spontanee, non finalizzate a scopi diversi da quelli che egli stesso si prefigge autonomamente.

Ha bisogno di diventare abile con le sue mani, attraverso l’apprendimento di capacità crescenti in base all’età, che lo rendano sicuro di sé e capace di portare un contributo creativo al mondo che lo circonda.

Queste sono anche le premesse di una sana adolescenza, dove l’inevitabile rottura degli schemi pregressi famigliari, sociali e personali, sia preludio a un’epifania del nuovo a cui giungere tramite la ricerca dei propri ideali di vita.

Perché questo avvenga la fiducia nel proprio corpo, nelle proprie capacità creative, nella propria capacità sociale sono indispensabili; se queste non gli sono state confermate negli anni di crescita, nell’adolescente può generarsi una grande rabbia; inoltre la volontà nascente di infiammarsi verso ideali umani e di collaborazione alla costruzione del mondo futuro con le forze originali della propria individualità, può sfociare in azioni distruttive, vandaliche, dirette fuori di sé o anche nei confronti di se stesso attraverso la dipendenza da droghe di qualsiasi genere, compresa quella generata dall’utilizzo delle tecnologie digitali usate in modo compulsivo.

L’irrompere precoce delle realtà e delle attività virtuali durante l’età evolutiva risulta essere un nuovo micidiale attacco all’infanzia sempre più minacciata e a rischio di estinzione; come adulti e genitori è urgente quindi prendere consapevolezza dei rischi reali cui esponiamo i nostri bambini con un utilizzo superficiale e incontrollato di questi strumenti pervasivi e onnipresenti che possono avere tanti effetti così profondi e destrutturanti di cui ancora non possiamo immaginare la portata.

A cura di Valeria Vincenti