La difficile situazione dell’infanzia di oggi osservata dal punto di vista sensoriale.

Relazione della Conferenza online Desenzano del Garda – 12 marzo 2021

Quando ho pensato al titolo di questa conferenza, ad agosto 2020, eravamo tutti reduci dai primi sei mesi di convivenza con la pandemia Covid e le conseguenti esperienze fisiche, psicologiche e comportamentali che, ex novo, si sono imposte nella nostra vita. Abbiamo dovuto capovolgere le nostre abitudini, dai più anziani di noi ai più giovani d’età, perdendo tutto ciò che prima ci sembrava normale.

E’ un fatto che è stato vissuto contemporaneamente e in modalità perlopiù analoga in tutto il mondo. Oggi, ad un anno di distanza dalle prime restrizioni, possiamo sicuramente parlare di un’epoca ante Covid, e di una epoca Covid di cui non si vede ancora la fine.

La paura del contagio, della malattia e della morte è stata l’aria che abbiamo imparato a respirare e a far respirare ai nostri cari e il ricordo costante di queste paure è stato continuamente alimentato dal mantra del distanziamento “asociale”, del lavaggio incessante delle mani e dall’uso della onnipresente mascherina.

Ho scoperto in questi mesi che esiste degli eventi una narrazione che può cambiare grandemente l’impatto che lo stesso fatto può avere su chi ascolta e non può accedere alla visione diretta della realtà.

Oggi posso affermare che viviamo un momento storico in cui ci è richiesto un grande sforzo di ricerca, una ricerca veramente individuale e cosciente, per avvicinarci a ciò che fuori di noi ci si presenta con il vestito della verità. Costantemente dobbiamo portare in noi una domanda, che è in ultima analisi una domanda morale, nel momento in cui a ciò che il mondo ci chiede di aderire viene richiesta la nostra partecipazione. E la domanda potrebbe essere formulata così:

Tale informazione, tale verità come si rapporta alla umanità che porto in me? Come vive in me, nel mio sentire più profondo?”

Quando ci fu la guerra del Vietnam io ero una bambina.

Indubbiamente non sono stata partecipe degli eventi che in America per anni hanno tenuto banco tra i fautori dell’intervento e l’opposizione che si schieravano sui diversi fronti, ma sono certa di poter affermare che l’immagine scattata dal fotografo Nick Ut della bimba vietnamita che corre urlante, ustionata da una bomba al Napalm, ha scosso il mondo intero e contribuito a smuovere le coscienze di milioni di persone su quello che lì stava accadendo, a quel che stava accadendo a quei bambini, ai giovani che da ambo le parti perdevano la vita in modo tanto insensato.

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In era Covid il sacrificio silente dei bambini invece non fa notizia.

Eppure, partendo da ciò che stiamo loro togliendo, forse potremo avvicinarci ad una lettura della pandemia che possa illuminare la nostra coscienza in modo nuovo e ci possa aiutare a prendere decisioni sociali e politiche a tutela della loro salute non solo fisica, ma anche psichica e comportamentale.

La scienza dello spirito di Rudolf Steiner, tra le grandi conoscenze che ci ha portato, annovera la dottrina dei sensi.[1]

Sappiamo che i sensi sono dodici, come il cerchio delle costellazioni zodiacali, e che possiamo distinguerli in:

– Sensi inferiori o basali più legati alla fisicità, ovvero al mondo interno e al corpo fisico.

Sono i sensi del tatto della vita del movimento e dell’equilibrio.

– Sensi mediani che aprono al mondo esterno e alla relazione animica con quanto è fuori di noi.

Sono l’odorato, il gusto, la vista, il calore.

– Sensi superiori o sensi spirituali con i quali viviamo un piano di relazione profondo in modo particolare con gli altri uomini.

Sono il senso dell’udito, della parola altrui, del pensiero altrui e infine il senso dell’Io altrui.

Sappiamo anche che il bambino piccolo, e con lui l’umanità che viene al mondo, che nasce sulla terra, manifesta una apertura e uno sviluppo sensoriale progressivo e imponente che lo porta a conquistarsi, a poco a poco, coscienza e conoscenza del mondo, dentro e fuori di sé.

L’immagine biblica del peccato originale, del frutto proibito mangiato dall’uomo che gli porta la conoscenza del Bene e del Male, allude proprio a questo: al divenire terrestre dell’uomo e all’apertura verso il mondo sensoriale.

Lo spalancarsi della coscienza al ritrovarsi nudi e pieni di paura davanti alla voce di Dio è emblematico della nuova situazione dell’uomo che si fa terreno e che perde la convivenza con l’albero della Vita, mentre sofferenza, fatica e dolore diventano il suo pane quotidiano.

I sensi hanno un loro sviluppo e acquisiscono importanza diversa a seconda dell’età del bambino.

Il bambino piccolo, attraverso i sensi inferiori o basali, costruisce a poco a poco la percezione del suo sé corporeo, della casa corporea in cui abita, in cui vive, in cui sta e attraverso cui si muove e si esprime.

Il senso del tatto, della vita, del proprio movimento, e dell’equilibrio sono allora la faticosa conquista del primo settennio e, come dice il nome stesso, sono la base su cui poter costruire negli anni successivi una evoluzione psicologica stabile ed anche una evoluzione spirituale matura e individuale.

 

hug-1315552Il senso del tatto e dell’Io altrui

 

Il senso del tatto è il senso che ci trasmette la percezione del limite del nostro corpo fisico, i nostri confini corporei. Grazie al senso del tatto costruisco uno spazio tra me e il mondo in cui sentirmi sicuro. Questi limiti, questi confini vengono stimolati in prima battuta nel parto naturale, attraverso il canale da parto.

Purtroppo, oggi questa via è sempre meno frequentata per il grande numero di parti cesarei programmati e quando anche ci fosse stato un parto naturale, con l’anestesia epidurale sempre più praticata, si verifica che il bimbo non viene più accompagnato dal sentire della madre che si unisce allo sforzo di nascita del neonato.

Il travaglio è vissuto in solitudine, guidato dall’utilizzo dei monitoraggi e, come dice il filosofo Heidegger, si genera il sentimento di essere” gettato sulla terra”, senza il paracadute della presenza attiva della mamma in dialogante reciproca connessione, nell’efficace sofferenza cui evolve un parto naturale.

Domandiamoci, da questo momento in poi, in quanti altre occasioni chiediamo al bambino, ai bambini venuti al mondo, di cavarsela da soli, di comprendere, di adeguarsi a richieste che comportano atteggiamenti di responsabilità prematuri e precoci.

Quello che abbiamo fatto vivere ai bambini in questo anno ce ne porta innumerevoli esempi.

Le interviste fatte ai bambini dopo il primo lockdown ci hanno mostrato anime intristite, invecchiate, consapevoli delle limitazioni della pandemia e prosciugate dalla coscienza del  sacrificio indispensabile che gli adulti hanno loro imposto.

Torniamo al senso del tatto, del limite o del confine corporeo; esso è presente sulla pelle ma anche lì dove il bambino esplora con la bocca, con le mucose e, mentre tasta e testa gli oggetti del mondo e della natura, ne conosce la sostanza, si appropria interiormente della realtà del mondo.

Non pensiamo solo al piccolo neonato curato, cullato, massaggiato ma anche al bimbo che si muove, gattona e cammina, che corre, salta e gioca. Quante esperienze percettive intorno a queste azioni!

Percezioni di calore e di freddezza, di durezza e fermezza del mondo, di dolore nel senitre i propri limiti in una caduta e di piacere lì dove una carezza o un morbido abbraccio gli vengono invece incontro, sulla superficie corporea più delicata e sensibile come sono il torace o la schiena, o distante, come sono i capelli.

Il senso tattile è anche misterioso. Lo percepiamo attraverso i vestiti e i guanti, ma anche nella bocca attraverso le mucose e la lingua e in maniera più ottusa ci arrivano sensazioni tattili addirittura dal profondo degli organi interni. Nel contempo, va oltre il nostro corpo fisico e possiamo esercitarlo anche con gli strumenti che utilizziamo: la forchetta con cui sentiamo se i cibi sono cotti, la suola delle scarpe o un bastone che ci danno la consistenza del terreno su cui ci muoviamo.

Tastiamo anche gli odori attraverso l’odorato e i sapori con il gusto, e tastiamo inconsciamente ciò che vediamo con la vista e percepiamo nelle sensazioni cutanee connesse al calore.

Con il senso del tatto ci giungono continuamente non solo semplici percezioni ma giudizi, impressioni e sentimenti che nell’esperienza tattile s’intessono inevitabilmente.

Possiamo affermare che è dovuta al tatto una impressione ottusa di base che rimane custodita profondamente nella memoria del nostro corpo. Questo significa che il tatto pone le radici nella dimensione inconscia fin dalla più tenera età e resta, anche in seguito, un’esperienza indifferenziata, permanentemente adombrata dalle impressioni sensorie che penetrano più fortemente lo spazio della nostra coscienza.

Dobbiamo prestare attenzione al fatto che il bambino, pur non avendo coscienza del senso del tatto, riceve le impressioni che questo gli trasmette e le fissa a mo’ di impronta nelle profondità inconsce della memoria mentre contribuiscono in beach-4840334maniera sostanziale e unica alla sicurezza di sé.
Quindi il senso del tatto ci fornisce la percezione del limite del nostro corpo e con essa la sicurezza esistenziale. Questo equivale a dire che l’altra faccia della medaglia sono le esperienze di ansia e angoscia che si presentano là dove il limite viene meno, dove lo spazio tra me e il mondo creato dal senso del tatto, che è uno spazio di vicinanza ove l’anima può risonare in libertà, viene invaso e ci si sente esposti e in balia degli eventi che si avvicinano.

Allora, come il tatto, anche l’ansia si esprime sotto la pelle, con i capelli che si rizzano, la pelle d’oca e la sudorazione fredda. Ciò che noi sperimentiamo con il tatto è il mondo concreto che tocchiamo: esso ci porta nella reale immediata esistenza degli esseri e delle cose del mondo, non nella realtà virtuale e nella lontananza portatrici di dubbi esistenziali.

Questa esperienza di realtà ci irradia dentro nell’anima e permette al bambino prima e all’adulto che diventerà poi, di mettere in atto una diretta connessione con il penetrante sentimento della divinità del mondo e di farne parte.

Steiner: “L’uomo non avrebbe un sentimento di Dio se non fosse permeato dal senso del tatto (…) senza di questo avremmo dubbi sulla nostra reale esistenza e sulla stessa nostra vita. E sperimenteremmo ansia e angoscia continua”. [2]

Se per un tempo breve o lungo questo interiore irraggiamento, questo animico, penetrante, inconscio sentimento di Dio che ci porta il senso del tatto viene disturbato, allora appare in una forma o nell’altra l’angoscia, non solo nel bambino ma in tutti; giovani, adulti e anziani.

Quando questa situazione si manifesta in maniera patologica, soprattutto i bambini e i giovani, non più sicuri nei confini del tatto, tendono a porre se stessi più intensamente in rapporto con il mondo atttraverso esperienze animiche che li portino a sperimentare esperienze di limite, di confine.

Sprofondano allora dentro la pesantezza, dentro il calore, con una intensità inaudita cosicché il mondo li ferisce e ogni cosa viene sentita più forte, ogni cosa si specchia in loro in una esagerata ipersensibilità.[3]

Compaiono immagini mentali o immaginazioni disturbanti e dolorose e di conseguenza arrivano iperattività e inquietudine perché il bambino o il giovane cerca di trattenere sia il dolore che la paura di provare dolore finché, in ultimo, un sentimento depressivo diffuso lo compenetra.

Le manifestazioni che appaiono nei bambini possono essere varie e andare da disturbi appena percettibili della vita emotiva a sintomi neurotici o psicotici. Possono comparire fissazioni nei riguardi dell’ambiente così forti che necessitano uno sforzo curativo enorme per liberarli.

Nella vicenda della pandemia i disturbi d’angoscia delle giovani generazioni sono tristemente aumentati in modo esponenziale.

La denuncia dei primari di neuropsichiatria infantile che parlano di un aumento dal 30% al 50% dei tentativi di suicidio di giovani tra i 12 e i 18 anni di età e di azioni di grave autolesionismo, con una richiesta di ricoveri nei reparti specializzati decuplicata, ci colpisce e ci lascia sgomenti. Il senso di disagio non preserva nemmeno i bambini della scuola elementare che personalmente ho curato per sintomatologie ossessivo-compulsive e per atteggiamenti fobici e di rifiuto di relazione.

I divieti multipli di contatto reciproco, l’invito al distanziamento anche da figure importanti quali sono gli insegnanti o i nonni di cui è stato negato l’abbraccio, la spinta continua a lavarsi le mani, hanno favorito il sorgere di una vera paura dell’altro.

Ecco che allora, proprio dove le conoscenze della scienza dello spirito ci svelano che il più alto dei sensi superiori chiamati anche sensi spirituali, il senso dell’io altrui, nasce come sana maturazione e metamorfosi del senso del tatto, proprio lì rischiamo di minare le radici di questa trasformazione.

Il neonato e in generale il bambino piccolo ha una naturale, inconscia e incondizionata apertura all’io dell’altro, vive dentro l’Io altrui e questa vicinanza, insieme alla spinta imitativa, lo porta alle conquiste dei primi tre anni del camminare, del parlare e del pensare.

L’empatia originaria deve chiudersi temporaneamente nei confini corporei dati dal senso del tatto, deve isolare il bambino in sé per favorire l’evoluzione dell’impulso personale e dell’individualità, che si palesa intorno ai tre anni d’età, quando la parola Io risuona per la prima volta nel bambino.

In seguito, con la crescita e l’evoluzione, con le esperienze infantili prima e poi con quelle adolescenziali, il confronto con l’Io altrui è vivamente cercato e spinge, nuovamente e ora coscientemente, il giovane ad altri da sé, che siano maestri, guide, amici adulti o compagni da imitare, rispettare e ammirare con devozione, alle cui figure ispirarsi per i propri ideali.

Istillare la paura dell’altro genera un sentimento distanziatore che indebolisce o rende impossibile la normale evoluzione di tutto questo e che, come ben sa la psicologia tradizionale, spinge o alla fuga o alla lotta con l’altro.

E di fuga e di lotta parlano i nostri resoconti di cronaca. La chiusura nelle proprie case-rifugio, isolati sempre più davanti ai computer, depressi e video-dipendenti, caduti nella sindrome hikikomori, o in preda a scontri e zuffe di bande giovanili che con futili pretesti ricercano in modo primordiale, attraverso lo scudo protettivo dell’io di gruppo, una parvenza di sentimento personale costruito sull’odio altrui e non sul rispetto e la venerazione. Paradossalmente possiamo affermare che anche nel palese malessere di questi scontri è racchiuso il bisogno di contatto e di sentirsi vivi in qualche modo.

Scopriamo che il tatto racchiude e circonda un secondo senso basilare, il senso della Vita.

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Il senso della vita e del pensiero altrui

 Nel senso della vita noi sperimentiamo tutte le forze che costruiscono e formano il nostro corpo e che percepiamo nella sensazione generale di benessere.

Sono processi legati alla vita: la respirazione, il calore corporeo, il nutrimento, l’accrescimento, la secrezione e la riproduzione, presenti in ogni cellula del nostro corpo.

Con essi fondiamo il nostro stare bene.

Anche questo è un senso subcosciente: il senso della vita non è percepito che quando questo si rompe come nella malattia, nella fame, nel dolore. Altrimenti esso è un’esperienza di presenza, di identificazione con se stessi e di benessere salutare, come quello che percepiamo la mattina risvegliandoci nel nostro corpo dopo un buon sonno ristoratore o come quella sensazione che ci invade respirando in profondità in queste mattine di primavera con l’aria tersa di rugiada e di sole, il cielo azzurro e il verdeggiante colore della natura rinascente e dei profumi di nuove fioriture, tessute insieme al canto degli uccellini.

Il Senso della vita ci infonde la sicurezza della nostra esistenza terrestre, ci fa sentire a casa sulla erra così come il senso del tatto ci dava la sicurezza della nostra origine divina.

Il senso della vita può essere disturbato da irritazioni e malattie provenienti sia dall’anima che dal corpo. Se indosso una mascherina, la conseguenza immediata sarà che l’ossigeno che dovrebbe entrare nel mio corpo e vitalizzare ogni cellula viene ridotto e ostacolato nel collegarsi al respiro e al sangue, mentre l’anidride carbonica che dovrei espellere rimane in me in quantità maggiore del dovuto. Questo non è sano fisiologicamente e può portare danni fisici e mal funzionamento al cuore, al cervello e ai reni ma anche una riduzione di concentrazione e capacità di attenzione a livello neurologico.

Se osserviamo il tutto dal punto di vista delle conoscenze sottili di fisiologia antroposofica, vediamo che gli organi interni dell’uomo sono formati dalle forze strutturanti dell’aria, primo tra tutti il polmone ma anche fegato cuore, rene. L’aria porta in sé non solo ossigeno, azoto carbonio e idrogeno, ma anche vibrazioni formative che trasferiamo dentro di noi con ogni respiro.

Cito da Steiner: “L’uomo con ogni inspirazione riceve dal macrocosmo(…) una nascita umana in divenire, una generazione continua dell’entità umana”.[4]
Ecco dove si insinua, uno tra tanti, il danno dell’uso indiscriminato della mascherina; ne siamo vittime tutti ma in particolare le nuove generazioni.

Quali patologie a breve e lungo termine dovremo attenderci?

Dopo il rigoroso lockdown imposto ai bambini sono state registrate mancanza di energia, tristezza, depressione, manifestazioni e sintomi prima impensabili in questa fascia di età. E ancora incubi, incapacità di sentirsi nel proprio corpo, azioni di autolesionismo, come l’episodio della giovane liceale che tornata in classe dopo la didattica a distanza si è ferita con una lametta davanti a professori e compagni, nel tentativo disperato di percepirsi, ma anche quello di essere percepita dagli occhi di chi le sta intorno.

Sto male, ma chi mi vede? Chi vede la mia, la nostra sofferenza?

Esperienze drammatiche di bambini che durante il periodo della guerra avevano sviluppato schizofrenia, psicosi e altre nevrosi ed erano incapaci di identificare se stessi con il proprio corpo sono visibili anche oggi. E’ come se i giovani si sentissero “accanto” al loro corpo non dentro e non riescono a diventare “uno” con il loro corpo perché lo stare male li allontana da se stessi. Il danno fisiologico e psichico è immenso giacché non riguarda solo il senso del benessere (sarebbe il caso di dire malessere) che viene loro arrecato, ma anche il senso del pensiero.

Infatti, è nel senso del pensiero altrui che si riflette la metamorfosi superiore del senso della vita.

Pensieri ossessivi, depressivi occupano i nostri giovani, mentre forze vitali si affievoliscono e riducono la capacità di seguire il pensiero dell’altro. Normalmente questa capacità conforma e educa il pensiero del bambino in crescita, e, una volta terminato il proprio processo di identificazione, lo rende atto a rimanere agile e flessibile nelle volute danzanti del pensiero altrui e quindi a muoversi in pensieri viventi. E’ il senso della vita e dei processi ad esso legati che permettono tutto ciò.

Quanti giovani spenti nella vitalità e costretti alla didattica a distanza anche nella scuola elementare, non riescono a seguire le lezioni, piangono e si disperano se più piccini per lo sforzo inumano che è richiesto loro e, se più grandi, per interrogazioni ed esami che palesano chiaramente cosa durante lo studio e a cui danno frustranti risposte senza senso?

Una neurologa, la dottoressa Rosanna Chifari Negri intervistata da La nuova Bussola Quotidiana afferma che: “La didattica a distanza ha forzato i ragazzi alla dipendenza online e ha portato danni nel lobo frontale che perde neuroni in modo irreversibile, con assottigliamento della corteccia e incapacità a fissare il ricordo, e conseguente perdita di memoria e di attenzione, oltre al riscontro di psicopatologie sociali”.

Infatti, benessere fisico è sottratto loro non solo dallo schermo ma anche dalla impedita possibilità di relazione sociale e ambientale che ha diminuito la capacità di collegarsi creativamente e in modo vitale con il pensiero altrui, di acquisire lo spirito critico e l’autonomia del giudizio per interpretare la realtà in modo libero. In tutto ciò è coinvolto non solo il sistema neuro-sensoriale, ma anche il sistema nervoso autonomo che è l’organo con cui nel corpo si manifesta il senso della vita.

Nessuna cellula del nostro corpo ne è priva.

Durante i primi anni dell’infanzia nel bambino il sistema nervoso autonomo, distinto in ortosimpatico e parasimpatico, serve esclusivamente alla percezione del senso della vita e del benessere e il bambino piccolo percepisce piacere e dispiacere nella digestione, nella crescita  nella respirazione; ogni cosa è messa sempre in relazione al corpo. Nel neonato, e in seguito nel bambino del primo settennio, il sentire vitale proveniente dai vari organi copre e unifica tutto ciò che arriva come sensazione corporea.

Durante la crescita, via via che gli organi maturano, il flusso vitale organico si emancipa progressivamente dal piano organico fisico e libera intorno al settimo anno d’età la capacità del pensiero che riconosciamo al bambino pronto per la scuola e per gli apprendimenti, ovvero la capacità dell’intelligere, del collegare l’esperienza conoscitiva pratica alla formazione di concetti viventi e di pensiero creativo.

E ancora, negli anni successivi, lo stesso flusso vitale continua a lavorare nascostamente alla maturazione degli organi della sfera genitale avvolgendo ogni sensazione che riguarda la sessualità di un velo protettivo che cade solo alla pubertà, con la liberazione di forze creative nella sfera riproduttiva e la capacità generativa di vita che ogni essere umano porta in sé.

Cosa facciamo invece oggi? Con nuovi programmi ministeriali si vogliono portare a coscienza attraverso l’insegnamento di Genere, impulsi e conoscenze della sessualità fin nel bambino della scuola materna o elementare, attentando alla maturazione fisiologica delle profondità inconsce, muovendo draghi di instabilità altrettanto perniciosi per l’equilibrio psichico individuale, sia riproduttivo che relazionale, ma anche per la sana vita del pensiero. Veramente viene da dire: ”Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno!”.

Rinchiudendo i bambini e lasciandoli esposti non più al sano influsso della natura, del sole, dell’aria e della terra, ma esponendoli sempre più piccoli e per lunghi tempi all’ incantesimo dello schermo, non solo sono cresciuti i casi di pubechildren-playing-2510896rtà precoce, ma i bambini sono stati abbandonati alla solitudine e alla imprevedibilità degli incontri pericolosi di ogni tipo, come quello drammatico dei bambini che hanno perso la vita per un “gioco” trovato sul telefonino tramite una applicazione social che li invitava a restare il più possibile senza respirare.

Con superficiale colpevolezza stiamo rischiando l’estinzione di quella che fino al secolo scorso chiamavamo infanzia. Come proteggere il sano sviluppo umano, fisico, animico e spirituale dei nostri bambini? E’ al loro Io che stiamo attentando, dobbiamo esserne ben consapevoli.

Dovremmo avere vergogna per tutto quello che togliamo loro ogni volta che non permettiamo di vivere un sano processo fisiologico favorente il senso della vita, così come di crescere secondo le opportunità e le tempistiche che sono proprie all’essere umano secondo corpo anima e spirito.

 

kids-1338627Il senso del movimento e della parola altrui

Durante questo folle anno abbiamo poi imposto, soprattutto alle nuove generazioni, una grave limitazione del movimento, in tutte le forme in cui esso si esprime. Cosa comporta tutto questo?

Il senso del movimento è ben conosciuto dalla moderna fisiologia che lo chiama propriocezione.

Per comprendere la propriocezione fino in fondo dobbiamo concepirla collegata al sentimento. E’ il sentire che percepisce il movimento del corpo in ogni parte delle sue membra.

Steiner così lo descrive: “Il movimento è la melodia che continuamente suoniamo sul nostro corpo; esso trasmette un sentimento di libertà alla nostra anima”[5]

Attraverso l’accorciamento e l’allungamento dei muscoli siamo attivi e ci percepiamo nel corpo, attraverso esercizi e ripetizioni formiamo nuovi percorsi neuronali e nuove immagini mentali dei movimenti già conosciuti, su cui poi modelliamo l’attività motoria, in un continuo perfezionamento e affinamento di ogni gesto.

Il movimento permette all’anima un doppio gesto; da un lato di sentire il corpo ben distinto dall’ambiente che ci circonda e nello stesso tempo di collegare l’anima al mondo che con il movimento possiamo dominare. “Grazie al movimento l’anima conquista lo spazio nel camminare, la velocità nel correre, la possibilità di arrampicare e di saltare, ma anche capacità quali il tessere o l’intrecciare e tanto altro ancora, con l’uso di strumenti in cui l’abilità conquistata ci compenetra del sentimento della gioia. Attraverso il senso del movimento, quindi, incontriamo la nostra anima nella libertà e nella gioia.”[6]

E il cantare sorge allora spontaneo nell’anima, insieme al sorriso che rivela lo stato di gioia.

Il primo sorriso del bambino è il segno che il senso del movimento ha iniziato a svilupparsi in dialogante reciprocità con il mondo. E, ancora, gli occhi luminosi e le braccia aperte non sono altro che espressioni del sorriso eseguite con tutto il corpo! Cosa abbiamo fatto noi in questo periodo?

Abbiamo coperto i nostri volti, il nostro sorriso, non solo agli adulti ma anche e soprattutto ai bambini. Da un anno a questa parte stiamo costringendo i neonati all’analfabetismo espressivo, alla cecità cognitiva e affettiva dell’espressione di sentimenti.

Se è vero che il bambino nei primi mille giorni si appropria di vari domini cognitivi e comportamentali che sono frutto di relazioni empatiche globali con le persone che gli sono intorno, se è vero che il concetto di tristezza o di felicità, per esempio, sono appresi senza spiegazioni verbali, ma dalla vicinanza di cuore con chi esprime nel volto, nel gesto e nel comportamento tali sentimenti; allora noi stiamo facendo un esperimento sociale sulle nuove generazioni gravissimo, i cui effetti sono, al momento, imprevedibili.

Non poter collegare l’espressione del volto al gesto alla parola, al pensiero e al sentimento percepiti  crea una scissione patologica nell’unità psico-fisica del bambino in crescita, tanto più grave quanto più precoce sono l’età del bambino e il perdurare di queste modalità mutilanti la figura umana. Il volto esiste per essere guardato e ci rivela in sfumature impercettibili del movimento delle labbra, degli occhi e della mimica facciale molto più di tante parole o di tanti altri gesti corporei.

Il naso nel volto è l’impronta più caratteristica per il riconoscimento individuale tanto che può essere designato come un segno distintivo di una famiglia o di una stirpe. Coprendo bocca e naso ci rendiamo inintelligibili e irriconoscibili, specie per i più piccoli.

Provate a immaginare per me, medico, un incontro di un’ora con degli sconosciuti di cui vedo solo gli occhi e sento la voce, mentre la mia mente cerca continuamente di ricostruire la parte mancante del volto: quando rievoco nel ricordo quei volti, l’unica cosa che rimane è la maschera, spersonalizzante e fuorviante. Se poi, a fine seduta, chiedo di vedere brevemente il volto per poterli ricordare e le persone rispondono con un sorriso, la gioia ci riempie l’anima.

Ogni essere umano, appena apre gli occhi alla vita, cerca un volto: quello della madre.

E’ una ricerca, quella del volto altrui, che dura tutta l’esistenza e che rappresenta l’anima della stessa comunicazione e relazione con gli altri. Scopriamo di essere un Io quando riusciamo a fissare un volto e a dire “Tu”. Invece, in questo assurdo periodo, la mutilazione del volto, come tante altre cose, sono diventate la nuova normalità.

Abbiamo tolto il movimento, il libero gioco dei bambini nei giardini delle scuole, per altro già poco frequentati precedentemente per paure di traumi e mancata presa di responsabilità da parte degli insegnanti. Abbiamo vietato il canto e con esso l’espansione dell’anima che nel respirare comune si fonde in armonia reciproca con le tonalità degli altri. Abbiamo chiuso palestre e teatri e intristito, depresso, resi ansiosi e paurosi i nostri ragazzi, impedendo loro la recitazione e lo sport, gli incontri e le risate. Abbiamo tolto ai giovani la vita all’aria aperta e l’incontro con gli amici, il contatto fisico, le gite in gruppo, le vacanze e il tempo trascorso fuori casa.

Anche una festa di laurea con una decina o poco più di invitati vissuta in una grande piazza e a distanza ha fatto scattare a Roma la delazione alla polizia che è intervenuta a disperdere i giovani presenti, neanche fossero pericolosi delinquenti. Così, tra i più grandi, chi può è diventato un carbonaro della amicizia per permettersi l’azzardo di sforare il coprifuoco allungando la cena a casa di amici che abitano nelle vicinanze, o si incontra nel garage del centro commerciale per ascoltare musica e chiacchierare senza farsi multare per assembramento.

La Normalità è diventata un Sogno e cerchiamo di abituarci ad un incubo vestito di “Irrazionale Necessità”.

Ma i bambini, soprattutto i più piccoli, non possono ribellarsi all’irrazionale perché non hanno vissuto a lungo la normalità della vita precedente al Covid. Più sono giovani, più le norme che oggi immaginiamo passeggere e pro-tempore diverranno lo status di normalità per il loro domani, perché stiamo creando oggi gli automatismi cognitivo-comportamentali che loro vivranno in futuro. Da un anno non ci tocchiamo, non ci diamo la mano, non ci abbracciamo, da un anno non ci parliamo che a distanza di telefono, di maschera o di computer.

Allora quel senso superiore che nasce dalla metamorfosi del movimento e che è il senso del linguaggio altrui, quella gioia che ci apre al mondo della parola parlata e declinata dall’umano nelle sonorità linguistiche di popolo e di persona, quell’incanto che dai dialetti ci aiuta a percepire l’anima che dietro il linguaggio traspare con le sue tipicità , inflessioni e titubanze lo abbiamo distorto e appiattito dietro lo schermo del computer, nel freddo di una voce metallica, riprodotta e deturpata dalle connessioni della rete che velocizza e rallenta.

Anche i giovani partiti in Erasmus invece di essere catapultati nella vivace vita universitaria fatta di incontri, lingue, gesti e abitudini nuove, diverse e così arricchenti e formative per la loro vita futura, si trovano rinchiusi in anguste stanzette con il solo schermo a riempire le loro giornate, senza la famiglia, i coetanei e gli amici né vecchi né nuovi. E stanno tutti male, con disturbi psicosomatici di vario genere, in primis ansia e depressione.

Di nuovo le mascherine che modificano il tono e il suono delle nostre voci trasformate dall’aumento della anidride carbonica e dall’ansimare della mancanza di fiato quando ci sforziamo di parlare, sono un altro aspetto dell’attacco al senso della parola e al contatto, in senso superiore, con la persona altra.

 

child-playing-2233613Il senso dell’equilibrio e dell’udito

 

Arriviamo ora ad osservare il senso dell’equilibrio, strettamente connesso al movimento e a volte difficilmente distinguibile da questo. Mentre i sensi precedenti riguardano il proprio corpo primariamente dall’interno, ora le strutture dello spazio esterno sono il focus del senso dell’equilibrio. Grazie ad esso ci rapportiamo al sopra e al sotto all’avanti e al dietro, alla destra e alla sinistra dello spazio intorno a noi.

Gli animali non hanno equilibrio ma bilanciamento, sottomesso alle tre dimensioni spaziali. Invece con il senso dell’equilibrio entriamo in qualcosa di tipicamente umano, legato all’Io, ovvero la verticalità, che il bambino conquista al termine del suo primo anno di vita ergendosi sulla terra con il capo in alto e i piedi ben piantati al suolo e manifestando l’appartenenza a due mondi quello cosmico e spirituale, e quello fisico terreno. L’equilibrio non è quindi solo il senso che ci permette di non cadere quando siamo in piedi, o quando inciampiamo, ma che riconosciamo come il portatore della tranquillità e della libertà interiore dell’Io, presenti in noi anche quando tutto intorno vacilla o si muove all’impazzata.

Quando qualcosa non va nel senso dell’equilibrio, perdiamo il dominio sulla verticalità terrestre e iniziamo ad avere la sensazione di ruotare come la terra, il sole e la luna.

Attraverso il senso dell’equilibrio abbiamo l’interiore certezza che ognuno di noi è un Io collegato con il proprio corpo che muove nello spazio e ci sperimentiamo come spiriti liberi, individuali e permanenti nel tempo, lo stesso Io che era ieri e che sarà domani.

In genere accompagniamo con le braccia l’equilibrio in ogni movimento, ma anche ogni parola con cui ci esprimiamo e ci manifestiamo. Utilizziamo i gesti parlando e noi italiani siamo conosciuti anche all’estero come fortemente gesticolanti, capaci a volte di dare al gesto dignità di lingua.

Attraverso la gestualità noi rendiamo il parlare più chiaro, e il gesto, palesando il sentimento, ricopre il parlato, lo veste e lo accompagna, rendendolo comprensibile.

Ecco che invece lo schermo, appiattendo ogni nostro gesto, ci fa sentire ridicoli. Come possono insegnare i professori, i cui i gesti e il calore empatico sono stati congelati dalla DAD? Il gesto, che accompagna la combinazione di parole e di pensieri, che puntualizza la parola in una speciale forma di espressione, esiste solo nell’adulto in forma completa; è una conquista frutto del senso dell’equilibrio che si aggiunge al senso del movimento.

Noi invece abbiamo sottratto il calore del gesto alla parola; con la didattica online, il gesto è stato brutalmente strappato a tutti i nostri fanciulli, adolescenti e ragazzi universitari. Abbiamo tolto loro l’espressione dell’equilibrio della personalità manifestantesi in una dimensione artistica, ma anche l’esperienza viva della passione e dell’entusiasmo legati all’interesse, sperimentati nel legame tra la parola e il gesto.

Cosa ne risulterà da un apprendimento così mutilato?

Stiamo prosciugando la conoscenza dalla dimensione dell’anima, i pensieri e i concetti dal calore e dalla irradiazione del cuore. Non è difficile immaginare a quale mondo, gelido e distopico, saranno avvezze le generazioni future, ma anche a quale tremenda sete di amore e calore di cuore esporremo le loro anime bisognose e trepidanti.

Possiamo rischiare di perdere tutto ciò che è umano in noi per proteggerci da un virus? L’abbraccio, il sorriso, la gioia e la libertà che sacrifichiamo oggi nelle nuove generazioni e che impediamo di vivere anche a noi stessi, in quale moneta ci saranno ripagate?

Se possiamo tollerare la sofferenza imposta ai più piccoli che non hanno strumenti per difendersi, se ci abituiamo all’inganno continuo che operiamo su di loro inducendoli a credere che sia benefico e altruistico il distanziamento, che la paura dell’altro e della malattia sia la normalità in cui crescere,

che il più forte è colui che riesce a sopportare la mascherina per ore e indossarla anche da soli per strada, se tutto questo non induce in noi una sana indignazione, una sana collera, allora possiamo dire addio all’immagine di una umanità in evoluzione e abituarci all’involuzione già in atto.

Diventiamo allora corresponsabili di questo degrado; certo non l’abbiamo cercato, l’abbiamo subìto ma a nostra volta, se lo assecondiamo come adulti e lo infliggiamo ai bambini, diveniamo complici, passibili di una nuova Norimberga del ventunesimo secolo, dove non troveremo assoluzione.

Ma se invece tutta questa sofferenza servisse per risvegliare in noi un impeto verso il riconoscimento della natura divina dell’uomo e ci spingesse a considerare i sentimenti umani la più grande fonte di conoscenza della verità e della moralità, allora lo sdegno per la sofferenza arrecata alle persone più fragili, ai bambini, ai giovani e agli anziani, e l’amore vero e profondo verso le loro vite potrebbe essere il dono che l’era Covid ci ha portato.

Abbiamo creduto di poter trovare nelle notizie dei Comitati tecnico-scientifici la Verità sugli eventi che stiamo vivendo;

abbiamo creduto che nei dpcm ci fosse la Via per uscire dall’incubo della pandemia;

abbiamo creduto che la Vita ci potesse essere data dalle case farmaceutiche e dal messianico vaccino.

boy-1637188Dopo un anno di emergenza riconosciamo che è altrove che dobbiamo cercare la Via, la Verità, la Vita. E possiamo avvicinarci a queste solo se riscaldiamo le forze del cuore e diveniamo aperti e fiduciosi come bambini. Quello che avrete fatto al più piccolo di questi fratelli lo avrete fatto a me, ci esorta il Cristo nei vangeli. Questo è il monito che ci può portare il coraggio di cui necessitiamo per opporci alla violenza dei distanziamenti e delle restrizioni operate sui più piccoli e sui più anziani, gli unici che in nessun modo hanno potuto ribellarsi in questi mesi.

Avendo presente che ciò che facciamo, in parole ed opere, è il vangelo che si sta scrivendo, mi piacerebbe infiammare i vostri animi, di genitori e di insegnanti, di adulti e di educatori.

Vorrei infiammarvi di sano coraggio ed anche, oserei dire, di sana collera, per opporci all’ingiustizia sofferta dalle nuove generazioni dopo un anno di “andrà tutto bene” e alla vigilia di nuove restrizioni incombenti su tutta l’Italia. Ci ricorda Steiner nel testo Metamorfosi della vita dell’anima, che la collera è l’educatrice dell’Io e fintanto che non siamo completamente evoluti essa sorge dall’inconscio e deve essere modulata e corretta ma con lo sviluppo dell’Io nel corso dell’evoluzione umana cresce il potere dell’amore ed è proprio l’amore il frutto della collera trasformata.[7]

Oggi, in piena epoca dell’anima cosciente, il mondo donatoci dalle Entità Spirituali come Cosmo di Saggezza richiede l’opera dell’uomo per evolvere nel Cosmo dell’Amore.

L’amore è il frutto della saggezza rinata nell’Io, ci dice ancora Ruldof Steiner.

Tutto ciò che l’Io può sviluppare in sé in quanto conoscenza e saggezza deve trasformarsi in Amore altrimenti è il caso di dire è privo di senso. Se la conoscenza dell’uomo può trasformarsi in amore, grazie all’amore l’uomo potrà avere accesso all’albero della Vita, preclusoci con la cacciata dal paradiso, e a non temere più sofferenza, dolore e morte.

Se vogliamo che l’era Covid diventi un passaggio doloroso ma proficuo a favore dell’evoluzione umana in senso spiritualmente elevato, pur rimandando a Dio le ingiustizie che sono state commesse, dobbiamo far sentire la nostra voce e il nostro operare. Dobbiamo farci trasportare e infiammare dalle forze dell’Amore verso ogni creatura e in primo luogo verso i bambini, i giovani e gli anziani.

Il futuro può essere luminoso se con coraggio ci affidiamo alla direzione piena di Sapienza che guida il mondo, e con consapevolezza agiamo in ogni situazione ci venga incontro.

Viviamo un’epoca in cui all’uomo spetta il compito di riconoscere negli eventi i segni della Vita Spirituale e di essere noi stessi diffusori di Luce nelle cerchie che ci competono.

I tempi incalzano ma non dobbiamo arrenderci alla distopia irrazionale e alla paura.

Un mondo migliore è possibile.

Noi, tutti, possiamo divenire gli artefici di un mondo e di un tempo migliori; essi sono vicini, potremmo dire alla distanza di un abbraccio.

 

 

 

 

[1]
Tutto ciò che concerne i sensi in questa conferenza è tratto dallo studio dei seguenti testi:
Steiner R., Antroposofia. Un frammento. Editrice Antroposofica, Milano, O.O. 45, Milano, 1998

Koenig K., A Living Physiology, Camphill Books, UK, 2006

 

[2] Steiner  R., Aspetti della vita sociale alla luce dell’antroposofia, Edizione Antroposofica, Milano, O.O.199

 

[3]
Concetti elaborati dala settima conferenza di Steiner R., Corso di Pedagogia Curativa, Editrice Antroposofica, Milano, 2016 O.O. 317
[4]
Steiner. R. Corso di Medicina Pastorale, Editrice Antroposofica, Milano, 1997  OO 318, p. 89

[5] Steiner, R., Aspetti della vita sociale alla luce dell’antroposofia, cit.

[6] Koenig, K, Living Physiology, cit.

[7]
Steiner R., Metamorfosi della vita dell’anima. Tilopa editrice, Roma 1984, prima conferenza